Storie di fotografia: Hsueh Chun

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In esclusiva per l’Italia, le immagini della fotografa giapponese Hsueh Chun che abbiamo avuto il piacere di conoscere di persona durante un viaggio a Kyoto dopo aver visitato una sua mostra.

Una giovane donna appassionata di fotografia che, caparbiamente, non vuole imparare nulla delle moderne tecniche digitali. Fotografa con la sua reflex analogica con pellicola in bianconero di elevata sensibilità ed esplora il mondo che la circonda. Non le interessa il colore, non le interessa la nitidezza, le interessa “il messaggio”. Hsueh Chun non è giapponese, ma vive in Giappone da molti anni e lo sente come casa propria: questo la porta a fotografarlo con gli occhi di chi conosce bene il luogo dove vive e lo sguardo curioso del turista. “Il Giappone ed i Giapponesi non mancano mai di stupirmi” – dice Hsueh Chun – “e trovo affascinante la loro capacità di trasformare l’apparenza, anche la più futile, in sostanza. Il loro gusto del bello non è mai fine a se stesso, ha radici profonde, cerimoniali e rituali”.

Hsueh Chun carica un rullino nella sua vecchia reflex ed esce di casa. Respira a fondo e cerca di liberarsi di ogni pensiero, non va in cerca di immagini, ma aspetta che le immagini giungano a lei e, soprattutto, che giungano le emozioni, “i messaggi” come li chiama lei. Le ho accennato che forse la si poteva definire una “fotografa di Street” e quasi si è risentita. “I fotografi di Street, quelli bravi, sono davvero pochi” – mi spiega – “Gli altri si limitano ad andare in strada, nei luoghi affollati e sparano nel mucchio. Nella folla c’è sempre qualcuno che fa qualcosa, anzi, tutti fanno qualcosa e, anche se non facesse niente e si limitasse a chattare con il suo smartphone o dormisse sotto un albero, diventerebbe ugualmente il soggetto di questi Street Photographer. Impossibile uscire senza portare qualcosa di decente a casa, la si ritaglia un po’, magari si converte in bianconero, si postproduce, si pubblica su Facebook e le lodi arrivano da sole. Basta vedere quante ne vengono pubblicate ogni giorno”.

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Hsueh Chun non spara nel mucchio anche perché, con 36 pose a disposizione, c’è poco da scattare a caso. Sceglie il luogo e aspetta pazientemente come un ragno della ragnatela che si crei la situazione da fotografare, ma questa è la mia impressione perché lei dice di aspettare “il messaggio”. E lo intuisce da lontano, nel gruppo di giovani studenti che si sta avvicinando, capisce che ci sarà la foto – una sola – e si prepara. Valuta senza neanche guardare nel mirino quale sarà il momento migliore, prepara tempo, diaframma, messa a fuoco e, quando il gruppo arriva, alza la reflex e scatta. E’ un attimo.

Tornata a casa Hsueh Chun sviluppa e stampa il negativo personalmente nella vecchia camera oscura ereditata dal padre insieme alla passione per la fotografia. Non stampa nemmeno i provini a contatto, guarda la striscia di negativi contro una lampada, aggrotta la fronte e finalmente sorride: “Eccola, è venuta come la volevo!”. Inserisce il negativo nel portanegativi, la colonna è già alzata per stampare su carta 24x30cm, controlla la messa a fuoco ed aggiusta un filino l’inquadratura. Mette una striscia di carta fotografica nel punto che reputa importante per fare il provino, la sviluppa e, dopo averla fissata, controlla il risultato in luce bianca. E’ soddisfatta, ma incrementa un po’ il tempo di esposizione. Senza fare altre prove, prende il foglio 24×30, ne taglia via quei 4 centimetri di troppo che usa per fare i provini e li mette da parte nel pacco di carta. Il risultato è una stampa 20x30cm in perfetta proporzione al fotogramma originale.

Il timer parte di nuovo e Hsueh Chun stampa la foto scattata oggi agli studenti che passavano: i suoi occhi avevano visto un’immagine diversa dalla mia o forse si trattava solo del messaggio che aveva ricevuto, destinato solo a lei?

Académie Des Arts © 01/2019
Riproduzione Riservata

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Giappone, Arashiyama © Hsueh Chun

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